// di Irma Sanders //
D. Quale libro sta leggendo in questo momento?
R. Sono due, in verità: «Musica e Africa»un libro destinato agli studenti di Storia della Musica Afro-Americana, presso l’Università Cattolica di Milano. Progetto in cui sono direttamente coinvolto e che vede la partecipazione di alcuni esperti del settore; «Il Jazz ed il suo Linguaggio» di Maurizio Franco, ED. Unicopli, che pur ostentando qualche pretesa musicologica, è solo un buon Bignami sulle principali tecniche narrative ed espositive del jazz.
D. C’è un libro che lei ha cambiato la vita e cambiato il suo modo di pensare?
R. Sono uno che cambia spesso il modo di pensare, non so se sia un fatto di volubilità caratteriale o un segno di maturità: solo le statue non cambiamo mai posizione. Credo che ci siano molti libri, ma legati a varie fasi della mia crescita culturale e dello mio sviluppo professionale. Il primo libro sconvolgente, ai tempi del liceo, fu «Porci con le ali» di Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera che, per noi giovinetti affogati nel linguaggio accademico e paludato di un Liceo Classico di provincia, fu una vera rivelazione: si poteva scrivere un libro usando il linguaggio della quotidianità, potendo raggiungere anche gli estremi della trivialità boccaccesca. Tra i Libri che hanno segnato la mia gioventù ce ne sono molti, da «On The Road» di Jack Kerouac a «Siddharta» di Hermann Hesse, da «Storie di Ordinaria Follia» di Charles Bukowski alla «Spoon River Anthology» di Lee Master. Professionalmente considero fondamentali tre libri: «Il Superuomo di Massa» di Umberto Eco, «Gli Strumenti del Comunicare» di Marshall McLuhan ed «Il Popolo del Blues» di LeRoi Jones (Amiri Baraka).
D. Il libro che avrebbe voluto scrivere?
R. La «Bibbia». E chi non avrebbe voluto scriverlo? In alternativa, la «Divina Commedia».
D. Il libro che ha più influenzato la sua scrittura?
R. Penso che tutte le letture contribuiscano a creare uno stile di scrittura: in fondo, lo scrittore è sempre un grande lettore che, ad un certo punto, decide di vendicarsi. Credo di essere in parte influenzato dalla scrittura di Heinrich Böll, autore che approfondito negli anni ’80 e di Woody Allen di cui, ai tempi del Centro Sperimentale di Cinematografia, leggevo tutte le sceneggiature
D. Il libro che reputa sottovalutato?
R. Senza agire d’impulso e secondo i miei gusti, dico: «L’uomo che ride» di Victor Hugo che, a mio avviso, possiede uno stile narrativo superiore a «I Miserabili», forse è più cinematografico. La descrizione di talune scene è quasi fisica; soprattutto l’autore si apre ad una scrittura meno tetra e gotica, ma piuttosto ariosa e romantica.
D. L’ultimo libro che l’ha fatta piangere?
R. Sto alla larga dalla narrativa piagnucolona e sentimentale; specie in questa fase della mia vita leggo soprattutto saggistica. Negli anni giovanili sceglievo letture appassionanti, mai lacrimevoli.
D. Ultimo libro che l’ha fatta ridere?
R. Mi fa ridere soprattutto l’idea che in Italia i libri li scrivano soprattutto calciatori, soubrette, cantanti, attori ed web-infuencers, a cui i media concedono largo spazio.
D. Il libro che non è riuscito a finire?
R. Più di uno, ma due in particolare: «Il Codice da Vinci» di Dan Brown» e «Baudolino» di Umberto Eco. Non mi era mai capitato un Eco così prolisso e noioso.
D. Il libro che ammette di non aver letto?
R. Senza remore, «Il Capitale» di Karl Marx, e non lo leggerò mai. È una delle opere più noiose mai scritte. Purtroppo al liceo un docente di filosofia ci costrinse a studiarne delle parti.
D. Cosa leggeva da bambino?
R. Fumetti, soprattutto fumetti (leggo ancora Tex e Zagor), sono state le mie favole. Ho iniziato leggere fumetti a cinque anni. Avevo una nonna che mi raccontava delle fiabe, ma credo che se le inventasse.
D. È un lettore capace di leggere più libri contemporaneamente?
R. Un tempo fino al cinque al mese, attraverso una lettura incrociata e disordinata. Oggi non più di due alla volta.
D. Legge le novità proposte dal mercato o preferisce rileggere?
R. Come tutti gli amanti del jazz, sono un improvvisatore. Vado alla rinfusa ed a seconda degli interessi del momento.
D. Come suddivide i libri?
R. Buoni e cattivi, ma questo dipende molto dai gusti e dagli interessi personali.
D. Domanda con due risposte: quelli che tiene sul comodino e quelli scaffalate in libreria.
R. In libreria ci sono libri di ogni risma, sul comodino nessuno, non amo leggere al letto, ma se volessimo trovare una collocazione ideale ad alcuni libri, direi tanta saggistica sulla musica contemporanea e la comunicazione.
D. Ci sono libri che tiene sempre a portata di mano?
R. Un buon dizionario di Italiano ed uno dei sinonimi e contrari.
D. Oggi, nell’era digitale, si è arreso all’idea che in una lastra di computer ci può stare una biblioteca?
R. Purtroppo è vero, ma per noi migranti analogici significa poco e niente: i files sono come le pasticche alimentari degli astronauti. La tangibilità dell’oggetto non ha prezzo. Dirò una cosa banale: il profumo della carta. È quanto è accaduto con la musica: milioni di mp3 in un hard-disk, ma poi la gente cerca ancora e di nuovo il vinile, quanto meno molti lo rimpiangono.
D. Qualcuno ha detto che la libreria, per un critico, un poeta, un giornalista, uno studioso, un narratore, è come la scatola degli attrezzi per lo stagnaro, se li vede in questa immagine?
R. In parte sì, anche se, per consultazioni veloci o per fugare qualche dubbio, il web aiuta molto.
D. Quale dei suoi libri pensa o vorrebbe rimanesse fra 100 anni?
R. Egoisticamente direi tutti, specie quelli che ho scritto sul jazz e sulla musica, ma uno in particolare, ossia il mio primo libro edito da Guerra Edizioni, Perugia nel 1990, «Risus Sine Pausa», una rilettura della storia antica in chiave umoristica corredata da vignette satiriche.