// di Irma Sanders //
La musica e la vita di Theloniuous Monk raccontata attraverso le opere più significative della sua discografia. Icona del bebop, Thelonious Monk seppe sviluppare un sound ed uno stile esemplari, diversi da tutto il resto dell’universo jazz di riferimento. La tecnica strumentale altamente idiosincratica ed insofferente di Monk è stata a lungo argomento di dibattiti e controversie. I detrattori lo hanno brutalmente accusato di incompetenza, mentre i suoi devoti seguaci hanno sempre sostenuto che fosse un abile intrattenitore non convenzionale e che le sue imperfezioni pianistiche fossero irrilevanti a fronte del valore artistico e della genialità di certe sue composizioni. In tanti, ascoltando Monk per la prima volta, potrebbero essere portati a pensare che mancassero alcuni tasti sul pianoforte o che stesse suonando le note sbagliate. Alcuni musicologi hanno rilevato nel Monaco «un iconoclasta ma distinta eredità jazz, nonché un ruolo come modello di musicista creativo al di là del genere e non omologabile a nessun altro». Chiunque riesca ad individuare la fiamma della genialità monkiana, al di là dei manierismi accademici, comprende ed apprezza anche la naturale intolleranza del Monaco al glutine della banalità. Ed è proprio in quella variabile idiosincratica e nella naturale ripugnanza verso la normativa del jazz vigente che Monk riscrive il suo prontuario compositivo ed esecutivo che diventerà una regola aurea, unica ed inimitabile. (ACQUISTALO SU AMAZON).
UN ESTRATTO DAL LIBRO – KRITERIUS EDIZIONI © 2022
THELONIOUS MONK – «GENIUS OF MODERN MUSIC», 1952.
Spronato da Ike Quebec, Alfred Lion iniziò ad assumere alcuni giovani virgulti bop , uno dei quali fu Thelonious Monk, soggetto non facile da contenere, ma in possesso di uno stile unico. Nonostante Monk si fosse, però, esibito accanto all’alta nomenclatura del bop in vari club come il Minton’s Playhouse di Harlem, non aveva ancora realizzato alcuna registrazione in veste di band-leader. Ike Quebec insistette perché la Blue Note fosse la prima etichetta a metterlo sotto contratto. Senza esitazione, il lungimirante Lion decise di includere Monk nel suo roster, dandogli un paio di settimane per mettere insieme un line-up convincente (…) Le brevi sessioni di Thelonious Monk spronarono la Blue Note verso una direzione musicale più moderna, su cui l’etichetta acquisì presto una posizione dominante, specie in un mercato che cercava qualcosa di più giovanile che sostituisse il vecchio swing orchestrale. Mentre gli anni quaranta volgevano al termine, la Blue Note si trovò a cavallo tra due mondi (…)
Nel novembre del 1950 la Blue Note, cavalcando velocemente la novità, immise sul mercato i primi LP in vinile, ma concentrandosi ancora sul jazz tradizionale. Il primo contributo bop in vinile fu l’album di Monk pubblicato nel 1951. A partire dal 1952 l’etichetta sfruttò molto il formato in vinile 12 pollici che divenne presto un’altra opportunità per Lion e soci. La prima delle rivoluzionarie grafiche venne inaugurata proprio per la copertina del disco di Thelonious Monk, «Genius Of Modern Music», disegnata da Paul Bacon. L’album del Monaco rappresenta molto probabilmente il più importante LP nella storia del jazz, soprattutto per la scelta del nuovo supporto vinilico (…)
Nonostante la reputazione di artista sgangherato e provocatore, Monk non era un iconoclasta ingenuo. In «Genius Of Modern Music» è possibile individuare le sue radici che affondano nello stride-pianocon cui era cresciuto, così come le innovazioni apportate dal bebop del suo tempo, il tutto filtrato e trasformato attraverso una forma esecutiva personalissima e pressoché inimitabile. Ad ogni modo, l’album contiene una serie di composizioni di cui molte sarebbero diventate degli standard come il classico dei classici «Round Midnight» (inizialmente ‘Round About Midnight), la dinoccolata «Well, You Needn’t» o il celebre omaggio a Bud Powell, «In Walked Bud» (…)
Monk è accompagnato alla batteria da un giovane,ma ancora incompleto Art Blakey, non del tutto in grado di prendere le misure perimetrali atte a contenere l’estro monkiano; così come il sassofonista contralto Sahib Shihab usa un tono eccessivo e gorgheggiante che sembra non cogliere appieno l’estetica sonora del Monaco, il quale compensa su vasta scala le piccole disfunzioni dei suoi collaboratori. Alternativamente sulle varie tracce e nelle diverse sedute furono presenti Idrees Sulieman tromba, Danny Quebec West sax alto, Billy Smith sax tenore, Gene Ramey contrabbasso, George Taitt tromba e Bob Paige contrabbasso. Nell’arco delle tre sedute furono registrati venti brani, di cui otto vennero scelti per il Vol 1 del 1952, dodici successivamente stampati nel 1956 in «Genius Of Modern Music Vol.2». Entrambi gli LP, nel 1989, furono accorpati in un CD comprendente le venti tracce principali scelte dalle tre sessioni più una take alternativa (…)
I suoi ritmi bizzarri, le figure non convenzionali disegnate col piano, nonché l’introduzione di bruschi cambiamenti sfidavano spesso la percezione e la stabilità nervosa dei collaboratori. In secondo luogo, il suo linguaggio armonico era piuttosto atonale per l’epoca, anticipando di molto proprio quella corsa sfrenata alla dissonanza che avrebbe caratterizzato il jazz moderno lungo la propria evoluzione. Monk mantenne sempre un linguaggio inconfondibilmente suo, rimanendo quel «Genius Of Modern Music», successivamente acclamato perfino dai primi detrattori a conferma che, anche in quella circostanza, alla Blue Note avevano visto e sentito molto bene. (Thelonious Monk – «Genius Of Modern Music», 1952).