Un album come «Diffrazione» di Andrea Morelli e Silvia Belfiore suggerisce una serie di riflessioni. In primis va sottolineato che il fruitore si trova di fronte a quella sorta di «terzo spazio» di cui parlava Edgard Varèse, estroso compositore di origini italiane, ma francese naturalizzato americano, sempre attento a cercare spazi condivisi tra musicisti e sonorità di diversa provenienza. I suoi studi anticiparono il concetto di «third stream» molto praticato negli anni ’60, che in fondo ha dato sempre risultati a mezz’aria, forse perché jazz e classica non sono mai del tutto conciliabili, o almeno lo possono essere nella misura in cui si trova un terreno comune, quel «terso spazio» di condivisione e non di (con)fusione, soprattutto di sopraffazione di uno dei due linguaggi a detrimento dell’altro.
Il crossover tra jazz ed elementi della tradizione eurocolta riesce meglio quando il contrasto di tipo strumentale è affidato a due soli attori sulla scena, i quali determinano una sorta di ricaduta al centro dell’effetto emotivo, mentre la suddivisioni delle partiture all’interno di un ensemble di medie o grandi dimensioni, generalmente, produce un multidirezionalità centrifuga che finisce per disperde l’effetto polarizzante che si può invece ottenere attraverso l’uso di due soli strumenti: uno con caratteristiche melodico-armoniche come il pianoforte, quindi in grado di fare sia da accompagnamento che da solista ed uno strumento a fiato, nello specifico il sax, in grado di procedere per linee melodiche ed improvvisative, non condizionato da una vera sezione ritmica come basso e batteria che ne ingabbierebbe o comunque limiterebbe i movimenti.
A tutto ciò si aggiunga la geniale idea di mettere insieme dieci composizioni, suddivise tra Duke Ellington, il più «sinfonico» e classicheggiante dei jazzisti ed Erik Satie, compositore francese del XIX secolo, molto amato dai jazzisti, poiché considerato come una sorta di musicista d’avanguardia rispetto ai suoi coevi: Satie scrisse molti pezzi brevi, quasi delle «moderne canzoni» oltrepassando l’idea di sviluppo musicale esteso, gettando così le basi per una sorta di minimalismo creativo. Andrea Morelli e Silvia Belfiore adattano il costrutto sonoro di questi storici compositori ad contesto di jazz contemporaneo di duo sax/flauto e pianoforte da camera, evitando di limitarne la bellezza espressiva o di sterilizzarne il valore compositivo. In realtà sono 14 temi di cui 3 uniti ad altri in sequenza:1-3 ed 11-13, ma tutti i brani, inseriti nella track-list dell’album, diventano quasi surrettizi, una sorta di equilibrismo musicale giocato sull’acrobatico e fragile filo del crossover tra jazz e classica.
La bravura dei due esecutori diventa una specie di rete di protezione che attutisce ogni caduta di stile, mantenendo i due metodi compositivi borderline, senza scomposti tentativi di sconfinamento o forzature tese ad un’illogica fusione a freddo. La finalità dell’album sembra basata essenzialmente sul concetto di «deviazione». In realtà il titolo «Diffrazione» nasce da un fenomeno fisico che si riferisce alla deviazione delle onde elettromagnetiche dalla direzione principale. Nel caso dell’album di Morelli e Belfiore parliamo di onde sonore che cercano di fuoriuscire dalla loro naturale tracciato espressivo per cercare quel «terzo spazio» in cui dividersi e condividersi, sottolineando una specie di colloquialità amicale tra Erik Satie e Duke Ellington, i quali mostrano una sorta di break-even-point in quel loro mood diretto, minimalista e talvolta essenziale che i due esecutori caratterizzano alla perfezione.
Le tre popolari «Gnossiennes» di Satie, eleganti e ricche di pathos, sono presentate in una forma cangiante attraverso l’uso da parte di Morelli del soprano nella prima, del flauto nella seconda e del tenore nella terza. Il sassofonista offre una trama floreale di colori sfumati, tratteggiando delicati petali di melodia, spesso colorata da una precisa pennellata jazz; dal canto suo la Belfiore gestisce il tempo su un tappeto armonico a larghe falde al fine di favorire le progressioni del sodale. «Gymnopedies», «Sarabande» e «Je te veux», composte tra il 1887 e il 1913, seducono per la loro musicalità calda e crepuscolare, avvolte in un tepore autunnale ma ancora solare, per nulla decadenti o nostalgiche; per contro i componimenti del Duca trascinano l’ascoltatore dai salotti europei di fine Ottocento verso le sonorità del nuovo mondo, ma senza particolari scossoni di natura ritmico-armonica. Non a caso nella traccia finale, «Angelica» di Ellington, il duo si trasforma in un trio con l’aggiunta del batterista Alessandro Garau, tutto ciò fa in modo che l’album si chiuda quasi con un simbolico passaggio di consegne tra classicismo e modernità. I due musicisti rispettano nella forma le struttura sonore, quasi sacrali, di Satie ed Ellington, soprattutto negli assunti di base.
Ecco che «Black Beauty» del Duca, grazie al delicato intro pianistico e per la sua naturale movenza blues non esasperata sembra combaciare perfino con l’architettura sonora di Satie, legandosi filologicamente a «Petit prélude à la Journé», un brevissimo ponte sonoro che finisce per essere quasi un preludio a «Single Petal Of A Rose» di Ellington, dove la voce del sassofono raggiunge una liricità abissale, sostenuta dall’impeccabile comping del pianoforte. «Lotus Blossom» è uno dei tratti salienti dell’album: l’interpretazione è struggente e profonda, ma una particolare nota di merito va a «In A Sentimental Mood» sempre di Ellington, la cui perfezione melodico-armonica diventa favorevole a qualunque tipo d’interpretazione. Tutto l’album esalta le affinità parentali di tipo sonoro ed estetico dei due grandi compositori ma senza mai forzare la mano.
Nel complesso «Diffrazione», registrato il 4 ed il 6 giugno del 2020 allo JaneStudio di Cagliari e pubblicato dall’etichetta Claire De Lune, è un lavoro di pregio, ricco nella forma e nella sostanza, dove il fraseggio sicuro e sinfonico della Belfiore, ricco di armonizzazioni talvolta nitide, altre rarefatte, si riflette nel sassofono di Morelli che parla di jazz con voce sicura, sormontando le irregolarità satiane e le complessità ellingtoniane con una visone aperta e contemporanea. In fondo come scrive Guido Michelone nelle liner notes di presentazione del CD: «Sono i colori delle note a predominare in una perfetta consonanza di suoni e tinteggiature».
EXTRA LARGE
“Black Lands / A Tribute To Africa” – Silvia Belfiore / Andrea Morelli, 2018
L’Africa è un miraggio, un sogno, un altrove a cui tendono quanti nella musica cercano un centro di gravità permanente. L’Africa, non è solo ritmo, l’Africa è fatta di forti suggestioni che possono garantire una completa circumnavigazione dello spettro sonoro “Black Lands / A Tribute To Africa”, nasce in Sardegna approdo di mille culture, al contempo, enclave e crocevia aperto di popoli, suoni e colori. Silvia Belfiore (pianoforte) e Andrea Morelli (sassofono e flauto), riescono a creare un evoluto affresco dell’Africa, senza tentativi di ricostruzione naive o riproposizione stereotipa. “Black Lands” non è l’Africa dei tamburi ma dalle suggestioni oniriche che viaggiano senza confini spazio-temporali. Dieci tracce che, che costituiscono un’itinerario ideale dalla Nigeria al Ghana, dal Sud Africa all’Etiopia, dalla Sardegna agli Stati Uniti, passando per Duke Ellington attraverso una versione intima e sotterranea di “Fleurette Africaine”. Una rilettura dell’Africa, quasi immaginaria e fiabesca, letteraria, universale tra flauti, canti antichi, narrazioni sonore ad ali spiegate che aprono intensi scenari alla fantasia. Un disco equilibrato negli arrangiamenti e nella scelta del materiale proposto, quasi filologica ma senza calligrafismo, il tutto è alimentato dalla fiaccola della creatività ed irrorato da nuova linfa vitale. “Black Lands / A Tribute To Africa”, conferma quanto l’Africa non solo sia vicina, ma a volte è proprio dentro di noi.