Aprendo il booklet del CD, la prima cosa che colpisce è la citazione di uno storico album di Ornette Coleman «This Is Our Music», quale riflesso della mente creativa di Antonio Apuzzo, fautore del progetto New Strikers e musicista con il baricentro sempre spostato in avanti. La citazione ornettiana sembra racchiudere l’idea dell’album «Musiche Insane», un disco fuori dal comune senso di orientamento del jazz contemporaneo: l’inciso di Coleman ne diventa anche il manifesto programmatico. Il disco si snoda attraverso una narrazione libera e disinibita sotto forma di suite, in cui composizioni multiformi, incentrate su blues irregolari e ardite improvvisazioni, si amalgamano ad una fitta trama di testi recitati, abissali e corrosivi, svelando universi sonori ipnotici, onirici e sottesi da incastri ritmico-armonici decisamente non convenzionali.
L’impatto testuale è perfettamente coerente con la scenario musicale e congruo alla rappresentazione di un jazz free-form, quasi teatrale, che richiama alla mente Kurt Weil. La progressione musicale è angolare, ma non distonica o fuori squadro, precisa ed accordata in maniera mercuriale allo speech o al cantato della vocalist Marta Colombo, la quale emerge dagli anfratti sonori e si muove disinvoltamente nelle pieghe del costrutto armonico, divenendo una sorta di prolungamento degli strumenti. «Musiche Insane» dei i NewStrikers, pubblicato dall’Alfa Music, nasce dalle ceneri dell’Antonio Apuzzo Strike. Il nuovo ensemble è un sestetto acustico con il band-leader che suona sassofoni e clarinetti, Marta Colombo voce e percussioni, il figlio Valerio Apuzzo tromba e flicorno, Luca Bloise marimba e percussioni, Sandro Lalla contrabbasso e Michele Villetti batteria e duduk.
Un lavoro che nasce da un misto di istinto e passione sostanziandosi attraverso nove composizioni originali arricchite dai testi di Apuzzo, Colombo ed integrate a frammenti di autori classici come James Joyce, Dylan Thomas, Cesare Pavese e Jolanda Insana. «Musiche Insane» si mostra subito non convenzionale a partire dall’involucro: la copertina ideata da Paul Whitehead, specialista delle cover del progressive inglese (Genesis e Van der Graaf Generator), è basata su un collage neo-pop su cui si staglia un’inquietante figura femminile la quale guida un aquilone a farfalla che vola su un veliero blu diretto verso selvagge coste incontaminate e lussureggianti, in contrasto con il caos rugginoso, plastificato e metallico di un presente dominato dalla spazzatura industriale e metropolitana. L’opener e affidato a «Prologo», intriso di suspense e suddiviso in tre parti: No More / Tra Mine e Minareti / Goccia a Goccia, dove la voce misteriosa e crepuscolare della Colombo, spiana la strada ad un jazz-poetry progressivo, che si addensa come un un patch-work musicale, unendo frammenti del citato Ornette Coleman, filamenti sonori di Cecil Taylor e Charles Mingus in un volo libero e percussivo che rimanda al Max Roach più politicizzato e carico di istanze sociali.
«’O Veliero Blu» decanta lo strazio dell’abbandono dovuto alla partenza in mare dell’amato, tema molto frequente nelle storia del nostro Sud, nella poesia popolare, nei racconti marinari e nel canto mediterraneo. Qui Marta Colombo esprime tutto il suo pathos attraverso un elegiaco vernacolo partenopeo, abilmente esposto attraverso assonanze o metafore, che rimandano all’attualità con le tragedie dei migranti e dei naufraghi in mare: «Caddero alla prima sciroccata / le foglie d’oro del decoro affettato/ e dai rami ingrovigliati pendono/ cartigli anneriti di terribili/ vergogne bacche svuotate/ ovai senza semi». In «Meghiddo Blues», musica di Antonio Apuzzo, testo di Marta Colombo, il trasferimento della sensazione è immediato, La capacita narrativa di Valerio Apuzzo è assai efficace soprattutto dal punto di vista espressivo, la tromba sembra una voce narrante che si fonde al sinuoso e sobrio «borbottio» della Colombo. Il band-leader, dal canto suo, sviluppa una trama sonora incuneata in un substrato improvvisativo, nervoso e policromatico, mentre puntuale giunge il comping del tandem Lalla-Villetti.
«S’infossa il passo e traballa l’orizzonte», caratterizzato da un assolo torrenziale di Apuano, in questo caso al tenore, è una summa tutte le suggestioni stilistiche di cui è composto l’album: un panorama sonoro inquieto e visionario, che disegna il distopico scenario contemporaneo pregno di slanci poetici, spaziando dal post-bop allo swing, con improvvise virate sui tempi dispari e caratterizzato dalle riuscite progressioni scat della Colombo. In «Amore e Disamore Strings In The Earth and Air», musica di Antonio Apuzzo e testo di James Joyce, l’asperità del testo italiano viene diluita dalla parte inglese in cui la voce assume un tono più caldo e ricco di blackness, mentre il sax ed il clarinetto basso di Apuzzo s’inerpicano in un crescendo teso ed adombrato, il cui PH acido trova consonanza nelle variabili per archetto del contrabbasso di Sandro Lalla e nell’ottimo sostegno della retroguardia ritmica. «Rosso 17» è un affresco sonoro basato sui contrasti, dove lungo lo scorrere del brano, il mood si fa sempre più incalzante e concitato, in cui la teatrale voce recitante di Marta Colombo è accompagnata da un caos ordinato di chiara matrice free e diluito da ritmiche a tratti afro-caraibiche e latin-swing
L’atmosfera di «Rosso 17» risulta enigmatica, quasi inquietante, mentre sul front-line i due Apuzzo, padre e figlio, dialogano involandosi in un perfetto by-play, sostenuti dagli intriganti capovolgimenti armonici e dai repentini cambi di passo delle retroguardia. In conclusione: «Strike and Sing», musica di Antonio Apuzzo, testo di Dylan Thomas e Cesare Pavese; «La fanfara della lunga marcia: L’inabissamento / Last Llues / Epilogo», musica di Antonio Apuzzo e testo di Jolanda Insana. La vocalist trascina tutto il line-up con i suoi recitativi declinati con flessibilità vocale e liberando progressivamente un canto deciso e preciso, capace di adattarsi al contenuto dei versi e di tenere il passo al mutevole e cangiante umore degli strumenti, mentre i due fiati di famiglia dialogano sul filo del rasoio, sviluppando una dimensione polifonica di impronta free: libera ma costruttiva e perimetrata. «Musiche Insane» dei NewStrikers è un album variopinto che nasce all’incrocio di un mega-continente musicale, tra Mediterraneo, Africa ed America, frutto di un coacervo di razze sonore meticce ed incrociate: contemporary jazz, free-form, avant-garde, world-music, latin-bop, un un disco libero ed inarrestabile, privo di calcoli stilistici, manierismo, sovrastrutture mentali e stereotipi da jazz club di provincia, dove l’unica cosa «insana» sarebbe il non precipitarsi ad ascoltarlo.