// di Francesco Cataldo Verrina //
Il duo nel jazz è una struttura aperta ed incline al caos (inteso come non prevedibilità), non possiede la circolarità esaustiva e pingue del quartetto o l’essenzialità scolastica del trio, ma in un confronto bilaterale, per paradosso, possono accadere molte più cose, soprattutto fra i due strumenti si stabilisce un interplay ininterrotto, dove saltano tutti gli schemi gerarchici e fra i due sodali si sviluppa una simbiosi mutualistica ed una maggiore libertà di manovra, specie se entrambi hanno la possibilità di esprimersi a livello melodico, dunque anche nelle variazione tematiche in fase improvvisativa. Il connubio pianoforte e strumenti a fiato, specie tra un’ancia o una tromba, genera una sorta di entropia creativa, poiché nasce da un fenomeno asimmetrico e non ordinario. Immaginate una goccia d’inchiostro che cade in un bicchiere d’acqua, lentamente tutta l’acqua cambierà colore. Il pianoforte con la sua doppia anima, armonica e melodica, gioca a tutto campo, mentre lo strumento a fiato, perfino quando il piano assume il controllo della prima linea, riesce a trasformarsi in uno strumento d’accompagnamento pur non avendone le caratteriste tecniche e la vocazione.
Nello specifico Stefano Travaglini al pianoforte e Achille Succi, clarinetto basso e sax contralto, sono riusciti a trovare una perfetta compliance con un disco che supera le normative vigenti del jazz convenzionale. «Book Of Innocence», registrato il 6 e 7 settembre 2022 presso lo Studio Sequenza di Parigi, si sostanzia come un quadro d’autore a più strati, dove s’intersecano stili, colori e reminiscenze letterarie, mentre la musica, a tratti, sembra dipingere un susseguirsi di emozioni molteplici; diversamente si materializza come una declamazione ideale di versi poetici e racconti in prosa. Basta un fugace ascolto per capire che lo scambio tra i due musicisti si concretizza attraverso una miriade di stimoli provenienti dalle arti visive e dalla narrativa. Ad esempio «Bauci» è, idealmente, una trasposizione audiotattile del romanzo del 1972, «Città invisibili» di Italo Calvino, sulla spinta di una melodia basata su ricordi ancestrali ed impalpabili e slegata da ogni contesto spazio-temporale, dove il clarinetto si adagia perfettamente sul tappeto armonico distillato dal pianoforte. Travaglini è noto soprattutto per i suoi lavori in piano solo con album come «Ellipse» (2017) e «Monk-Fifteen Piano Reflections» (2020), entrambi pubblicati dall’etichetta Natomi Jazz. «L’affascinante mondo dell’improvvisazione», come dichiarato dal pianista diventa una sorta di carburante attivo in ogni sua performance; dal canto suo, Achille Succi è un musicista di esperienza e fondamentalmente autodidatta, pluripremiato e con ottime referenze specie nell’ambito del clarinetto basso, strumento non diffusissimo in ambito jazzistico, mentre il pensiero corre immediatamente ad Eric Dolphy.
L’album si apre con «Rothko», ispirato all’espressionista astratto di origine russa Mark Rothko. già celebrato in passato dell’opera da camera di Morton Feldman, «Rothko Chapel», e dal rock vagante e progressivo di Peter Gabriel in «Fourteen Black Paintings», ma il tributo di Travaglini e Succi descrive meglio l’inquietudine artistica di Rothko con i suoi mutamenti di mood e di timbro. Il costrutto sonoro è rapsodico e frenetico come un gioco di ruolo senza regole, dove i due partecipanti entrano ed escono dalla scena, colpiscono con precisione, si scambiano le armi ed infine si alleano per conseguire un obiettivo comune. Le progressioni pianistiche sono intervallate dai brevi riff, quasi ostinati di Succi, come se si trattasse di vere pennellate su una tela. «Silent Moon», offre immagini e suggestioni variegate, del resto «la musica è arte invisibile», come diceva Duke Ellington», ogni ascoltatore può cogliere gli aspetti che desidera al netto del costrutto melodico-armonico, brunito e crepuscolare, che suggerisce immagini contemplative di una luna che parla agli innamorati, di una pallida luna di città, di serenate al chiaro di luna, di luce nel cielo e guida per anime solitarie che vagano nella notte o una languida luna che fa capolino al tramonto quando è «l’ora che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core lo dì c’han detto ai dolci amici addio», tanto per scomodare anche il sommo poeta, Dante Alighieri. In verità le suggestioni artistico-letterarie che l’intero album esprime son notevoli. «Vipassana» è una confortevole camera di decompressione che predispone gli animi ai continui baratti tra pianoforte e clarino.
«Turning Tables» diffonde un’aura di benessere, quasi avvolta in una discreta penombra, come una cauta musa ispiratrice che non vuole farsi notare, al fine di consentire illimitate possibilità espressive ai due strumentisti, i quali si alternano sul front-line, attraverso un’interazione sinergica ed incontrollabile al contempo, poiché dettata dall’istinto e dalla passione. «Polymorph» è un costrutto adamantino e progressivo, dai tratti somatici multietnici, fatto di tinte cangianti e polimorfiche che si riflettono nello specchio delle emozioni come i rapidi fraseggi melodici che s’infrangono nell’impianto armonico del componimento. «Travels» di Pat Metheny è l’unica traccia non composta da Travaglini. Il duo, pur mantenendo lo spirito onirico e sospeso dell’originale del 1983, evita accuratamente di farne una versione karaokeistica, trasportandola in una dimensione che si amalgama perfettamente al mood complessivo dell’album. «Blues For Days To Come» si sostanzia come un concept duale affidato nella prima parte alle ance di Succi che ne preservano il legame con la tradizione, mentre il pianoforte di Travaglini ne fortifica il costrutto, per poi trascinarlo in una dimensione contemporanea, facendone letteralmente «il blues per il giorno che verrà». L’espansa title-track, «Book Of Innocence», è un composizione multitasking, nella quale i due musicisti incorporano una serie di situazioni melodico-armoniche, quasi fosse una suite ideale senza soluzione di continuità, dove l’umore ed il cambio di ritmo stabiliscono le linee di confine tra un sentimento e l’altro, tra un colore e l’altro, tra un pensiero e l’altro. Il brano eponimo s’ispira alla creazione di Henri Matisse del 1911, «Lo Studio Rosso», un dipinto che raffigura numerose opere dell’artista. Metaforicamente, Travaglini e Succi fanno esplorano l’universo di Matisse, disegnando tanti piccoli affreschi sonori. Al netto di ogni suggestione letteraria o accostamento alle arti visive, «Book Of Innocence» di Stefano Travaglini e Achille Succi, edito da Notami Jazz, è un concentrato di arte jazzistica contemporanea non convenzionale.