// di Francesco Cataldo Verrina //
Nell’ambito della proliferazione di espressioni idiomatiche che punteggiano la storia delle musiche occidentali comparse nel secolo scorso «third stream e un termine per molti versi anomalo, perché non nasce né da un’attestazione d’uso, né da un’intuizione discografica, bensì da una lezione accademica. Messo in circolazione da Schuller nel 1957, il termine ha da subito generato non pochi problemi, sia nell’individuazione dell’oggetto musicale a cui si riferiva nelle diverse definizioni datene dall’autore nel corso degli anni, sia nel suo effettivo valore storico. Col tempo l’idea di «terza corrente» ha finito per essere, almeno in ambito jazzistico, una sorta di gioco creativo in grado di tenere insieme flussi sonori provenienti dai quattro punti cardinali della musica. È il caso di «Journey Into Jazz (A Third Stream Project)», pubblicato da Notami Jazz, un disco ricco di suggestioni, complesso, ma al contempo fruibile, il cui titolo fa riferimento di un vero e proprio viaggio fra terre di confine che si estendono dal jazz alla tradizione eurodotta, a cui fa corollario il celebre racconto musicato di Gunther Schuller, tradotto per la prima volta in lingua italiana e narrato con la tecnica di un avvincente audio-libro dalla voce di Stefano De Bernardin.
L’impianto sonoro del progetto pubblicato dell’etichetta marchigiana, si coagula intorno al concetto di «third stream» o «terza corrente» diversamente detta «terza via», una sorta di confluenza tra i il jazz americano e la tradizione musicale europea di stampo classico. Gunter Shuller fu il principale araldo di questa simbiosi sonora, che per lungo tempo ha alimentato il dibattito con posizioni contrastanti e non sempre favorevoli. In realtà, la «third stream» tende a mettere in atto un deliberato sincretismo del linguaggio jazzistico e di molteplici aspetti delle espressioni sonore del vecchio continente con elementi formali e procedurali della musica d’arte occidentale, spesso con preminenza di questi ultimi. L’assunto di base mostra di per sé un limite concettuale, poiché la musica jazz è già frutto di sintesi fra elementi afro-meridionali ed euro-settentrionali. In questa logica emerge una scelta di notevole forza iconica operata da Schuller nel 1959, quando ribaltò il detto di ascendenza kyplinghiana usato per descrivere due opposti che non s’incontreranno mai. L’estroso musicologo, a sostegno della propria tesi, propose l’efficace integrazione della metafora correnti fluviali finita a lungo sulla bocca e sulla penna di molti critici e musicisti e che riuscì perfino a scomodare qualche professore universitario, ossia l’immagine delle correnti del jazz e della musica d’arte occidentale che confluiscono dando luogo a una «terza corrente». Il campo semantico del termine si è poi espanso attraverso sviluppi più recenti, finendo per diventando un tipo di concept espanso che, attraverso l’improvvisazione o la composizione scritta, o entrambe, sintetizza le caratteristiche essenziali e le tecniche della musica classica e del jazz, nell’accezione più larga del termine, ma dove entrambi i linguaggi restano cristallizzati nelle loro definizioni originarie.
Scaturito dall’incontro fra l’Orchestra Filarmonica del Piceno ed il Fulvio Sigurtà / Filiberto Palermini Jazz Quintet, «Journey into Jazz (A Third Stream Project)» è un lavoro multidirezionale che evita accuratamente di rimanere bloccato e schiacciato tra la schematica suddivisione di tradizioni musicali europee e africane, mostrandosi per contro più fluido e dinamico. Nel dettaglio: Fulvio Sigurtà (tromba), Filiberto Palermini (alto sax), Marco Postacchini (sax tenore), Francesco Mancini Zanchi (basso), Stefano Manoni (batteria) e l’Orchestra Filarmonica del Piceno diretta da Daniele Giulio Moles. Gunther Schuller si era affermato come compositore di vaglia, direttore d’orchestra, insegnante e divulgatore; più avanti verrà riconosciuto anche come uno dei più influenti musicologi jazz del Novecento. Nel 1961 egli compose la musica ispirata a un testo di Nat Hentoff, «Journey Into Jazz», una sorta di parabola per voce recitante, orchestra e gruppo jazz, che provava di raccontare al pubblico che cosa fosse il jazz e come si diventava veri jazzisti. Schuller prese forse spunto dai poeti della beat generation che improvvisavano o recitavano versi e testi di vario genere a stretto gomito con i jazzisti. Una narrazione fumettistica, che racconta la storia di un certo Eddie Jackson, «un ragazzo che imparò il jazz», attraverso una serie di prove e passaggi iniziatici.
Anche se il costrutto sonoro-narrativo (in origine fu lo stesso Gunther a fare da io-narrante) ha più di sessant’anni, «A Third Stream Project» cattura la forte dichiarazione estetica di Schuller sulla «terza corrente», dove prevale essenzialmente il concetto di libertà espressiva e non vincolante. «Journey Into Jazz», cammina ancora oggi su una linea sottile, tra semplicità e didascalismo. Il costrutto fu descritto all’epoca da Leonard Bernstein come «una sorta di Peter e il lupo del jazz», dove tutto appare semplice e favolistico: un giovane ragazzo ha fame di musica, prende in mano la tromba e alla fine scopre che la musica non ha bisogno di essere annotata, ma che può essere libera e derivante da emozioni crude e sorgive. Per seguire simbolicamente il viaggio lungo la strada già tracciata da Schuller, il progetto discografico in oggetto è completato da due componimenti originali: «The Perfect family» di Alberto Giraldi, che inizia come un allegretto con atmosfere operistiche deviando presto verso una struttura swingante, per poi tracciare figure sinfoniche che sfumano in ambientazioni vagamente funkified; «Morning Sunrise» di Marco Postacchini è una ballata mid-range proposta inizialmente sotto forma di un adagio che si arricchisce progressivamente di spunti jazzistici soulful, per poi muoversi attraverso un crescendo quasi cinematografico; infine un’originale rivisitazione del celebre «In A Mist» di Bix Beiderbecke, dove coabitano perfettamente antichi ardori jazz e sfarzose atmosfere sinfoneggianti. Nel complesso in «Journey Into Jazz (A Third Stream Project)» appare come un riuscito tentativo di non canonizzare le tecniche del jazz e della musica classica. Tutto l’album mostra evidenti ed inconciliabili contrasti stilistici che, per contro, rendono le composizioni più interessanti, mentre la «lotta» per conciliare arrangiamento, composizione e improvvisazione, pur non essendo perfetta per sua stessa natura, si concretizza in modo clamorosamente musicale e sincretico.