// di Francesco Cataldo Verrina //
Abbiamo detto più volte che il rapporto tra jazz e musica classica è sempre stato accidentato e difficile. Il morganatico fra i due linguaggi si è sempre celebrato di nascosto e seguendo artifici particolari, per non parlare di talune forzature. Finanche la «terza via», tanto agognata da Gunther Schuller ha finito per diventare una sorta di oggetto volante non identificato. Ciò non significa che jazz e musica classica, sinfonica o cameristica non posano convivere, l’importante è avere la consapevolezza di non di aver inventato (o voler intentare) un nuovo linguaggio, insomma una «terza corrente». Alla prova dei fatti, l’incantesimo non è mai riuscito a chicchessia. Per contro si può suonare jazz ispirandosi al repertorio della musica eurodotta, così come è possibile trattare il jazz con orchestrazioni di tipo sinfonico, ricche sezioni di archi, tanto da farlo sembrare musica classica.
Il jazz è una musica che «batte», la classica è musica che «scivola». Per capirci, tra la musica improvvisata di matrice africano-americana e la musica eurocolta, c’è stessa differenza che potrebbe esserci tra cinema è letteratura. Un film tratto da un romanzo non è la stessa cosa: non è soprattutto letteratura. È una questione di ritmo, di narrazione, di ambientazione di fruizione che si svolge su piani diversi. Cosi come un romanzo ispirato dal cinema è un’altra forma narrativa non un soggetto cinematografico. Al netto di ogni considerazione, il repertorio classico della musica può essere un buon serbatoio per i jazzisti, rammentando sempre il vecchio assioma che nel jazz non è importante ciò che si suona, ma come lo si suona, mentre «colui» che suona può diventare un valore aggiunto. «Bellissimǝ», il secondo album di Ambergris, il quartetto di Nicolò Ricci, pur essendo ispirato a Rossini, Debussy e Beethoven, è un disco jazz a tutti gli effetti di legge. Come racconta lo stesso ricci: «Il fil rouge dell’album, la connessione tra le diverse tracce è rappresentata dall’influenza della musica classica. Sono stato fortemente ispirato da Mozart, Debussy e Beethoven, particolarmente dalla Sinfonia no. 7. La musica classica è quella che ascolto di più, quella che mi tocca di più, con la sua pura combinazione di melodie e armonie». Suo padre, Paolo Ricci, è un compositore classico e faceva parte dell’Orchestra Nazionale della RAI, dove suonava il contrabbasso. «Quando ero ancora un bambino spesso mi portava alle prove. Allora non capivo quanto speciale e unica fosse quell’esperienza».
«Bellissimǝ», pubblicato dall’etichetta olandese Zennez Records, è stato registrato ai Wisseloord Studios, luogo di nascita di alcuni tra i migliori album delle ultime quattro decadi. Tra il 1980 e il 1990, questi studi sono stati casa di artisti del calibro dei Rolling Stones, di Elton John, dei Police e di Tina Turner. «La sessione di registrazione è stata molto emozionante», racconta Ricci, Gli Ambergris sono un sinergico quartetto costituito da Nicolò Ricci sassofono tenore, Emanuele pellegrini pianoforte e synth, Alessandro Fongaro contrabbasso e Su Mi Hong batteria. Come sostiene lo stesso band leader l’affiatamento è il carburante del line-up: «Non siamo solamente un gruppo ma anche amici intimi, ognuno con la propria forte personalità, motivo per cui talvolta si discute animatamente, ma io lo vedo come una cosa positiva. Ognuno nel quartetto dà tutto se stesso alla musica, così che il risultato è molto speciale e onesto (…) parliamo spesso delle nostre influenze musicali, condividiamo l’un l’altro la musica che ascoltiamo e poi discutiamo sulla composizione.». L’album è il frutto di due mesi di lavoro in cui Nicolò ha lavorato su tutte le composizioni, le quali sono state poi affinate in studio con l’apporto sinergico degli altri musicisti.
Ricci ama raccontare così le sue creature: «La prima traccia di «Bellissimə» è intitolata «Gioachino», in omaggio al compositore italiano Gioachino Rossini. Mio padre avrebbe voluto chiamarmi Gioachino, ma alla fine mi ha chiamato come Niccolò Paganini». Il secondo pezzo è «Canzone Crudele» – una canzone corale, spiega Ricci, «con alcuni movimenti ispirati a Debussy». Segue «My Plants, They Are All Dead». Ricci precisa: «La melodia e le armonie sono ispirate a Ravel, ma la suoniamo come una canzone da discoteca. Mi piace molto. Ci sono due sintetizzatori in questa traccia, un Yamaha DX7 e un Deepmind 6. La quarta traccia è «Bag of Bags». «Ad un certo punto stavo disperatamente cercando l’ispirazione. Un giorno ho ascoltato un brano di mio padre e c’era questa breve frase che a me suonava tonale, nonostante il contesto fosse di assoluta atonalità. Questo particolare ha catturato la mia attenzione e successivamente ha ispirato questa composizione. Il titolo proviene da una frase del mio coinquilino. Gli italiani, come me – a differenza degli Olandesi, per dire – hanno l’abitudine di tenere sotto al lavandino una borsa di plastica con dentro altre borse di plastica, perché non si sa mai quando possono venire utili».
«Dal Nostro Fuoco Nascono Le Stelle», la quinta traccia dell’album, è un pezzo in 6/8 basato sul Quartetto per archi K 465 n.19 in Do maggiore di Mozart, spesso chiamato anche Quartetto Dissonante. «Quando avevo sedici anni, ho trascorso un po’ di tempo in quel posto magico nel nord della Sardegna che è la Valle della Luna, praticamente un covo di hippie. L’idea era di stare un paio di giorni ma alla fine sono rimasto un mese e ho vissuto in modo molto diverso dal solito. La Valle aveva anche una sorta di Re, lo Zio Mario. Durante un rito tribale dedicato alla luna piena – un momento assolutamente magico – è stato lui ad usare l’espressione che ho scelto come titolo della canzone. Per me è stata davvero un’esperienza unica nella vita, lì ho capito cosa sia la libertà». L’album si chiude con «Komorebi» ha un titolo è ispirato a una parola giapponese che sta ad indicare la luce del sole che passa tramite le foglie degli alberi. «L’ispirazione per questa canzone mi è venuta ascoltando l’Adagietto di Beethoven della Sinfonia no. 7, probabilmente uno dei pezzi musicali più belli di sempre» dice Ricci. «Non riesco a immaginare come possa aver composto un pezzo così potente e perfetto: il tema, il contrappunto e l’armonia sono meravigliose e inimitabili».
«Bellissimǝ» di Nicolò Ricci con il quartetto Ambergris è un disco musicalmente di un certo spessore compositivo e di notevole livello esecutivo, con arrangiamenti ricercati e complessi che , per compenso, rilasciano melodie fruibili ed immediate ( senza tanti ghirigori, si chiama bravura). Al netto di ogni elucubrazione mentale del critico di turno, «Bellissimǝ»è un concept strutturalmente jazz. La conferma si può trovare nelle parole del titolare dell’impresa. «Penso che l’ispirazione classica sia presente nelle composizioni, che poi noi suoniamo con attitudine jazz». Non c’è solo l’attitudine ci sono anche il mood ed il groove del jazz, ma soprattutto un modus agendi contemporaneo e connesso alla realtà del momento.