// di Francesco Cataldo Verrina //
C’è stato un momento in cui il “canto” nel jazz era una linea guida, per contro oggi, a tutti i livelli, le composizioni cantate nel jazz sono dei garbati abbellimenti ad un costrutto sonoro che diversamente, parlerebbe solo attraverso le voci strumentali. Tutto ciò non va considerata una deminutio capitis, ma come un valore aggiunto, un elemento comunicazionale in più. Nella stragrande maggioranza dei casi sono le “donne” del jazz ed estrinsecare questo desiderio di narrazione cantata e di trasferire ad altri emozioni, fatti e situazioni attraverso un testo. Il jazz cantato rompe più facilmente il muro della diffidenza, soprattutto nei confronti di quanti di fronte ad un costrutto jazz titubano o si defilano verso forme di fruizione sonora di più facile metabolizzazione. L’uso del testo in un concept jazz condiziona non poco lo sviluppo tematico: le parole diventano dominanti rispetto alle note stesse. Parafrasando McLuhan si potrebbe dire che il mezzo, ossia il cantato, diventa il messaggio. Nel caso di Valentina Fin con l’album “A chi esita”, il messaggio si dipana su tre livelli: strumentale, vocale e testuale, in maniera organica ed integrata.
Per la buona riuscita di un un album di jazz cantato, infatti, sono necessari almeno due elementi significativi: una voce adattiva capace di fondersi all’apparato strumentale, divenendo un tutt’uno e non un semplice decoro o prolungamento e soprattutto la capacità di integrare la voce all’interno di un vero e proprio interplay che consenta agli strumentisti di esprimersi compiutamente, senza che essi vengano ridotti al rango di semplici accompagnatori, come accadrebbe in qualunque disco di pop cantato. L’album “A chi esita” di Valentina Fin, non solo risponde pienamente a questi requisiti, ma possiede molti altri valori aggiunti. La cantante Vicentina si misura solo su composizioni originali, sei su otto sono farina del suo sacco e le altre due ad appannaggio di componenti del line-up che l’accompagna in questo progetto. I testi, a volte ispirati alla letteratura, non ridondanti ed eccessivi, tanto da occultare la struttura musicale. La voce melodiosa di Valentina, in alcuni frangenti, gioca ad una sottile call-and-response con il contralto di Manuel Caliumi, come se l’apparato vocale si trasformasse in un sax soprano. Pur utilizzando strumenti come la campana tibetana, il Microkork ed effettistica varia, il concept complessivo rimane ancorato alla componente acustica.
“A chi esita”, distribuito da Egea per l’etichetta Giotto Music eregistrato al Digitube studio, settembre 2022con Valentina Fin voce, Manuel Caliumi alto sax, Luca Zennaro chitarra, Marco Centasso contrabbasso, Marco Soldà batteria, è un album che, a detta della Fin “vuole essere un invito all’ascolto, soprattutto di noi stessi. Un desiderio sentirsi più partecipi con il mondo che ci circonda, ritrovando dentro di noi quelle risposte che spesso tendiamo a smarrire, a causa dell’instabilità della nostra esistenza”. L’album si snoda attraverso una narrazione che alterna “capitoli” più brevi, quasi delle camere di decompressione, ad altri più estesi e strutturati, che concedono più spaio all’improvvisazione collettiva. All’interno della trama sonora la voce di Valentina procede con padronanza del mezzo espressivo, ma con levità, creando ambientazioni vocali ariose e sospese che dialogano ad armi pari con gli altri strumenti, attraverso un perfetto e sinergico interscambio che si nutre di frequenti mutamenti di mood e di ritmo.
L’album si apre con “Ode al Cambiamento”, un vero e proprio inno rivolto a quanti hanno il coraggio di infrangere l’abitudinarietà. A seguire “QQ”, un ardito gioco vocal-strumentale con un indole vicina al rock progressive. “Dreams are Dangerous”, agisce come un liquido di contrasto evidenziando alcune pecche della psiche umana, vittima dei sogni, mentre il costrutto sonoro dall’andamento flessuoso sembra rigenerarsi dalle spoglie di un serpentino blues. “Indefinitely”, introdotto dal contrabbasso e vocalizzato con un incedere ritmico quasi funkfied, sposta l’interesse del line-up verso un contesto fusion. “Quasi un madrigale”, il cui testo nasce dalla rielaborazione di una poesia di Salvatore Quasimodo, sviluppa un’ambientazione dal sapore antico, mentre il costrutto sonoro elaborato in trio, voce alto sax e chitarra, sviluppa una piacevole sospensione spazio-temporale. La title-track, “A chi esita”, è la rivisitazione in musica dell’omonima poesia di Bertolt Brecht, un invito alla meditazione e all’intimità. L’impianto sonoro, caratterizzata dall’intro di una campana tibetana, gioca su elementi di spiritualità orientali declamati attraverso una danza catartica e propiziatoria. Un altro breve intermezzo è rappresentato da “Langsamer”, che in tedesco che significa “Più lentamente”. La compenetrazione audiotattile ed il perfetto scambio di ruoli tra chitarra, voce e contrabbasso produce un’atmosfera evocativa e crepuscolare, carica di tensione e di lirismo. In chiusura troviamo “Marina cade dal muro” imperniata sull’inciso “an artis’s relation to inspiration” che muovendo da un concept strumentale a tre, onirico e avvolgente, trae ispirazione da uno dei diciotto aforismi del manifesto d’artista scritto dalla performer serba Marina Abramovich. “A chi esita” di Valentina Fin è un disco estremamente raffinato, ma non immediato, almeno per i neofiti. Il costrutto sonoro nel suo insieme è piuttosto “free form” e tende alla sperimentazione, arricchendosi di contrafforti spirituali. Come conferma la protagonista album celebra “una forma di spiritualità… che avvolge, nel suono, la propria esistenza”.