Se dovesse capitarvi fra le mani il CD, «Filmography», la prima reazione dopo un rapido ascolto, potrebbe essere: che bella raccolta di vecchie colonne sonore anni ’60 e ’70, una track-list perfetta! Nulla di più falso è tutto materiale fresco di conio, realizzato con una perizia mercuriale e millimetrica da due musicisti pugliesi, Francesco La Sorsa e Valter Conte De Simone, autori dei temi e titolari del progetto, i quali sostengono: «È il nostro modo di ringraziare tutti i grandi compositori che si sono dedicati alla musica per il cinema, con particolare riferimento al periodo storico fra gli anni Cinquanta e Settanta».
Ma cerchiamo di capire meglio: c’è stato un momento in cui il cinema si esprimeva solo per immagini, il passaggio dal muto al sonoro fu una prima rivoluzione epocale. Nel cinema parlato spesso la musica divenne una sorta di riempitivo, ma spesso distante dal contenuto del film stesso. Negli anni Sessanta, con qualche avvisaglia alla fine dei Cinquanta, vi fu una svolta epocale con l’arrivo di quelle che potremmo definire «colonne sonore tematiche», dove il mood musicale era perfettamente in linea con il plot narrativo, divenendo a sua volta una forma espressiva ed una sorta di metalinguaggio, il quale tendeva ad allargare lo spettro percettivo dello spettatore aumentando la carica mitopoietica della pellicola stessa. Negli anni ’60 si respira dovunque un anelito di libertà, mentre Il decennio successivo diventerà il momento di massima sperimentazione creativa del cinema, colonne sonore comprese. Registi e musicisti finiranno per essere quasi complementari, alcuni simbiotici: il desiderio di superare i vecchi canoni cinematografo ed il tradizionale vernacolo dell’estremismo visivo giocato solo sulle immagini, divenne una specie di impellenza creativa.
L’arrivo di una certa tipologia di colonne sonore porta il cinema a superare i limiti della narrazione, spesso asfittica e priva di ritmo, specie nei film d’azione, nei noir, nei polizieschi o in quelli d’avventura. La musica aiuta l’industria cinematografica a superare i limiti del rappresentabile, in cui spesso i dialoghi risentivano di un’impostazione teatrale e le immagini apparivano ferme, soprattutto dove il contenuto letterario o un protervo pseudo-intellettualismo tendeva a superare il coinvolgimento emotivo. In Italia, oltre ai film importanti, quelli da Biennale per intenderci, le colonne sonore tematiche trovarono largo impiego soprattutto nei cosiddetti film di genere, in particolare l’horror, il western, l’erotico ed il poliziesco (spesso ribattezzato poliziottesco). Perfino gli sceneggiati TV, all’epoca monopolio RAI, acquisiscono alcuni moduli espressivi di questo cinema popolare, di forte impatto, ma a basso costo. I nomi degli artefici di queste colonne sonore iniziano a diventare popolari quanto quelli dei registi e degli attori. Basti pensare a Franco Micalizzi, Ennio Morricone, Piero Piccioni, Enrico Simonetti, Armando Trovaioli, Luis Bacalov, Goblin, Guido e Maurizio De Angelis, etc.
In «Filmography» di Francesco La Sorsa e Valter Conte De simone, basato su tredici componimenti originali, ci sono tutti gli ingredienti di quelle colonne sonore, che oltremodo negli ultimi anni hanno suscitato l’interesse di vecchi e nuovi cultori, ma soprattutto di studiosi a vario titolo. Pur avendo i due musicisti pugliesi fatto un lavoro quasi filologico di ricostruzione al fine di sviluppare le medesime atmosfere di quegli anni, sono riusciti a creare un’ambientazione coinvolgente ed evocativa al contempo, frantumando i confini spazio-temporali della musica, proprio come accade durante una proiezione cinematografica, in cui lo spettatore viene risucchiato all’interno della narrazione con quel meccanismo chiamato «transfert». I suoni, gli effetti, il mood sono identici a quelli di molte pellicole, tanto che «Filmography» si sostanzia come un plot narrativo in tredici atti sonori, dove azione e sentimento si alternano magnificamente. Il trasferimento della sensazione è perfettamente riuscito.